Mentre scrivo, hanno appena sparato a cinque adolescenti che uscivano da una sala giochi a Secondigliano. Non ne hanno ammazzato neanche uno, ma poteva essere una strage, un'altra: un regolamento di conti tra bande, dicono, per il controllo e la supremazia nel mercato della droga. Mentre scrivo Roberto Saviano sta ancora pensando se lasciare o no il suo, il nostro paese, dopo aver fatto capire a tutti che se si spara a Secondigliano il problema riguarda davvero tutti, mica solo Secondigliano. Mentre scrivo impazza sul secondo canale televisivo "L'isola dei famosi". Mentre scrivo migliaia e migliaia di studenti occupano le scuole e le piazze per dire che non sono d'accordo con chi li considera "superflui". Mentre scrivo chi ci governa continua a ritenere scuola, ambiente e cultura come i settori "inutili", da tagliare. Da taglieggiare.
Questa è l'Italia. E io che mi sento in cuor mio un patriota, me ne vergogno. E io che sono un regista e un drammaturgo, mi chiedo (non da oggi, ma da sempre, da quando ho cominciato trent'anni fa) che senso abbia il teatro in mezzo a tutto questo. Che senso abbia ancora oggi il piccolo palcoscenico, di legno o di cemento che sia, piantato in mezzo alle tragedie della Storia, in mezzo ai simulacri straparlanti che fanno Spettacolo della Società. E io che mi sento nel cervello una fiamma ostinata e irriducibile, continuo a ripetermi (da trent'anni in qua) che "bisogna piantare il melo anche quando scoppiano le bombe", come insegnava Martin Luther King.
Quando sono arrivato a Scampia, tre anni fa, sono arrivato come un cittadino che voleva capire l'orrore di una guerra appena conclusa, come un regista che voleva misurarsi con la turbolenza dionisiaca degli adolescenti napoletani (dopo averlo fatto per quindici anni con le Albe, nelle scuole della finta-quieta Ravenna), come un italiano cui il Nord non bastava. ARREVUOTO è stato per me tutto questo. E PUNTA CORSARA ne è stata, ne è a tutt'oggi la diretta, logica conseguenza. Altri pensano che siano sufficienti i fuochi d'artificio, io credo che le opere siano sì fondamentali, ma che anche i teatri lo siano, intesi come ambienti vitali, ecosistemi di cervelli e non solo edifici di mattoni, centri di relazione e scambio tra le persone, isole eretiche dove sperimentare un modo diverso di vivere, non solo di percepire, isole non dei "famosi" ma di coloro che sono affamati di vita. Creare un "luogo", piantare il melo, comporta un rischio alto come nella creazione di un'opera, e questa è la scommessa di PUNTA CORSARA a Scampia: un impegno quotidiano che richiede e richiederà tenacia e speranza, la forza di saper guardare oltre l'immediatamente visibile. Richiede e richiederà un "colloquio corale", una scommessa affidata al genio di tanti e diversi, grandi e piccoli, allievi e maestri, attori e tecnici e organizzatori, dove nessuno sia solo spettatore (neanche gli spettatori!), dove tutti avvertano quel luogo che cresce come il "farsi luogo" della viva presenza di ognuno.
Marco Martinelli
4 novembre 2008