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Epilogo


PERCHÉ CI OSTINIAMO A PARLARE ANCORA DI DRAMMATURGIA E PERCHÉ SIAMO CONVINTI CHE OGNI REINVENZIONE DEL NUOVO PASSI ANCORA NECESSARIAMENTE DALL’ANTICO E PERCHÉ IL VUOTO GENERALE NON MI IMPEDISCE DI AVVERTIRE IL CUORE CHE BATTE NELLA CARCASSA DEL PETTO.

Già, perché ancora, dopo più di un secolo di avanguardie, distruzioni del linguaggio, destrutturazioni eccetera, perché ancora ci ostiniamo a utilizzare parole che a orecchie troppo fini possono suonare (desuete) “arcaiche”? Perché “l’attore”, perché il “teatro”, perché quindi la “drammaturgia”? Drammaturgia significa etimologicamente “tessitura delle azioni”: essa sorregge quindi e precede, o meglio, incarna la “tessitura delle parole”. È un equivoco che non è mai dissipato abbastanza: prima di essere verbale, la drammaturgia è fisica: il teatro occidentale non è “teatro di parola”, è “teatro di carne” in cui alberga anche la parola, corpi in azione, che si scontrano o si abbracciano. È come un ex voto: pensiamola come un ex voto.

Le immagini votive, che attraversano da millenni gran parte della storia dell'Occidente, raccontano nel loro persistere una storia iconica singolare. Gli ex voto non vengono convenzionalmente considerati nelle questioni estetiche, non danno voce alla cosiddetta originalità dell'arte. Sono una massa amorfa, forma sfuggente. Le immagini votive sono organiche, volgari; tanto sgradevoli da contemplare quanto sovrabbondanti e diffuse. Attraversano il tempo, ignorano la separazione tra paganesimo e cristianesimo. La loro storia deve tener conto di una temporalità differente, che in sé persiste e resiste a ogni cronologia evolutiva e di “progresso”. Si costituisce nella “durata”, al di là dell'evoluzione degli stili: è un grido del nostro desiderio, che invoca guarigione. È la forma del conflitto che ci divide, delle azioni che mettono me contro di me, è il male che mi lacera.

Si pensi alla malleabilità degli ex voto di cera: con la cera si figurano i corpi, i pezzi dei corpi, mammelle, gambe, genitali, tutto ciò che si depone nei santuari per richiedere grazia, o per grazia ricevuta. Si pensi alla somiglianza tra la cera, misterioso frutto del corpo delle api, e la consistenza della carne, all'evocazione psichica prodotta da questi corpi di cera come dai corpi di carne degli attori. E alle“azioni”che questi ultimi agiscono da millenni sulla scena: omicidi, sposalizi, guerre e imperi che crollano, pestilenze e guarigioni, furori. Figurette di carne che bruciano il loro tempo biologico sulla scena, come candele.

Come molti, sappiamo di galleggiare in un vuoto gremito di simulacri. Sappiamo di popolare un universo reificato, dove le merci e il denaro e i fantasmi delle une come dell'altro la fanno da Padrone (Padrino anche, nel senso mafioso del termine). Sappiamo di abitare nell'Occidente dove il sole è tramontato, in una normale, ovvia, scontata, burocratica assenza di senso: eppure... eppure quegli ex voto ci raccontano che da tempo immemorabile le creature gridano il loro desiderio di senso!

E il desiderio è ancora oggi”azione”, il groviglio dei desideri “drammaturgia”. Sulla scena come nella vita. Non ve le sussurra ancora quel muscolo rosso scuro che vi pulsa nella carcassa?


Marco Martinelli e Ermanna Montanari 
Ravenna, 27 novembre 2007