di Marco Martinelli
ideazione: Marco Martinelli e Ermanna Montanari
con: Ermanna Montanari, Roberto Magnani, Alice Protto,
Massimiliano Rassu
incursione scenica: Fagio
musica: Luigi Ceccarelli
spazio scenico e costumi: Ermanna Montanari
assistente ai costumi: Roberto Magnani
luci: Francesco Catacchio, Enrico Isola
montaggio ed elaborazione video: Alessandro Tedde, Francesco Tedde
realizzazione suono: Edisonstudio Roma
tecnico del suono: Fagio
elementi di scena realizzati dalla squadra tecnica del Teatro delle Albe: Fabio Ceroni, Enrico Isola, Danilo Maniscalco
realizzazione maschere: Antonio Barbadoro
capi vintage: A.N.G.E.L.O.
sartoria: Laura Graziani Alta Moda
consulenza linguistica: Aung Naing Lin
direzione tecnica: Enrico Isola
foto di scena: Enrico Fedrigoli
ufficio stampa: Matteo Cavezzali, Rosalba Ruggieri
organizzazione e promozione: Marcella Nonni, Silvia Pagliano, Francesca Venturi
regia: Marco Martinelli
produzione Teatro delle Albe – Ravenna Teatro in collaborazione con ERT Emilia Romagna Teatro Fondazione
Questo lavoro è nato in volo. Stavamo sorvolando l’Atlantico, diretti a La MaMa di New York. Sfogliando, per passare il tempo, quelle riviste che si trovano sugli aerei, casualmente ho visto il volto sorridente di Aung San Suu Kyi e ho chiesto a Ermanna: non ti assomiglia?
Tutto parte dalla domanda con cui si apre questa Vita: è distante la Birmania? Evidentemente no. È “poco lontano da qui”, come ogni luogo del pianeta. La Birmania nella nostra Vita è una maschera per parlare anche di noi. Si racconta il lontano per trovarlo sorprendentemente “prossimo”. L’estate scorsa siamo andati fin là, in quell’estremo oriente che non avevamo mai attraversato, perché il nostro pensare lo spettacolo si sostanziasse di colori, umori, sguardi. Materia. Differente, simile, fraterna umanità. Siamo capitati nella stagione dei monsoni, piogge torrenziali, fiumi di fango. Buio. Squarci d’oro delle pagode.
C’è qualcosa di scandaloso nella vita di Aung San Suu Kyi: la mitezza d’acciaio, la compassione, la “bontà”, un termine che avrebbe fatto storcere il naso a Bertolt Brecht. La nostra Vita è anche un dialogo con Brecht, con quella Anima buona del Sezuan che qualche anno fa volevamo mettere in scena. Non lo facemmo allora, e questa Vita ci ha spiegato anni dopo il perché. La “bontà” intesa come la intende Aung San Suu Kyi, e come prima di lei una teoria di combattenti, da Rosa Luxemburg a Simone Weil, da Gandhi a Martin Luther King, da Jean Goss a Aldo Capitini, (più i tanti, innumerevoli “felici molti” di cui ignoriamo il nome), è scandalo in quanto eresia, ovvero, etimologicamente, scelta: si sceglie di non cedere alla violenza, alla legge che domina il mondo, si sceglie di restare “esseri umani”: nonostante tutto. Di navigare tentando di non venir divorati da Scilla e Cariddi, i mostri del buonismo ipocrita e della violenza cinica. Di restare “non abituati” alle abitudini secolari della sopraffazione e dei sacrifici umani. Interrogarci sulla vita di Aung San Suu Kyi ha significato interrogare il nostro presente: cosa intendiamo per “bene comune”? Per “democrazia”? Cosa significano parole come “verità e giustizia”? Ha senso usare queste parole, e come? Non sono ormai usurate, sacrificate sull’altare della chiacchiera dei media? O hanno senso proprio partendo dalla volontà di un sereno, paradossale, gioioso “sacrificio di sé”? Di un silenzioso, non esibito eroismo del quotidiano? Di un cercare nel quotidiano “ciò che inferno non è”, e dargli respiro, spazio, durata?
Ho lavorato al testo variando tempi e luoghi, per raccontare una vita incastonata nel mosaico di una dittatura durata cinquant’anni, elaborando la drammaturgia su un doppio registro: la casa-cella, come quella di una mistica, e la Nazione vittima della ferocia dei dittatori. L’intimo e il politico. La vita agli arresti di Suu è stata un pendolo tra i fantasmi: primo tra tutti quello del padre, Aung San, il padre di Suu e il padre della patria, una limpida figura di combattente per l’indipendenza della Birmania dagli inglesi, un politico che voleva democrazia e pluralismo, il presidente appena incaricato e subito assassinato, poco più che trentenne, quando la figlia aveva solo due anni. Insieme a Ermanna abbiamo pensato a una scena onirica, una scena capace di essere allo stesso tempo luogo di fantasmi e antro della Storia, che potesse accogliere le maschere grottesche dei generali e gli spiriti malvagi della tradizione animista che impaurivano Aung San Suu Kyi da bambina. Ci siamo detti: si tratta di elaborare l’oscuro, perché la luce risalti. Doppio registro anche nella partitura musicale creata da Luigi Ceccarelli: le atmosfere “metalliche” di Luigi intrecciano i riferimenti musicali orientali al Pachelbel tanto amato da Suu, segno del suo profondo legame con la cultura europea.
Doppio registro anche nell’uso del microfono: da una parte voce pubblica (usato dai generali e usato da Suu alla pagoda di Shwedagon, nel discorso della sua investitura politica), dall’altra voce intima, che rende udibile il trascorrere del pensiero.
Insieme a Ermanna, abbiamo lavorato con gli attori sul concetto di “casa comune interiore”: se questa dimora si dà, se la si abita come “luogo comune” condiviso da coloro che salgono sul palco, essa ci permette di diversificare le figure e gli stili recitativi, gli “stati di coscienza” come li chiamava Leo de Berardinis, dal realismo della giornalista al taglio satirico grottesco dei generali e dei militari-scimmie. Ma questi salti si danno anche all’interno della stessa figura, come nel caso di Ermanna-Suu, nel passare dal tono dell’intervista a quello del comizio al soliloquio dell’anima.
Concludo questa nota ritornando al titolo, che funge da cornice: Vita agli arresti, appunto. La narrazione si interrompe nel 2010, nel momento della liberazione speriamo definitiva, dopo ventuno anni di reclusione in diverse forme. Oggi Aung San Suu Kyi siede in parlamento, unica donna, oggi la Birmania è avviata a una delicata, difficile, complessa, per certi aspetti ancora ambigua “transizione democratica”. Le nuove elezioni ci saranno a primavera 2015: per quel che può fare il teatro, siamo vicini a Aung San Suu Kyi e a tutti i combattenti della Lega Nazionale per la Democrazia.
Marco Martinelli, ottobre 2014
Ermanna Montanari: "Porto a teatro Aung San Suu Kyi", di Anna Bandettini su repubblica.it
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"Vita agli arresti di Aung San Suu Kyi", servizio in podcast della trasmissione Teatri in prova a cura di Laura Palmieri su radio3.rai.it
"Retroscena – I segreti del teatro", reportage in podcast su Vita agli arresti di Aung San Suu Kyi a cura di Michele Sciancalepore
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"Le scelte eretiche del Teatro delle Albe", intervista di Marì Alberione a Marco Martinelli e Ermanna Montanari su duels.it