di e con: Roberto Magnani e Simone Marzocchi
testo: Nevio Spadoni
musica: Simone Marzocchi
realizzazione strumenti musicali: Giovanni Cavalcoli, Fabio Ceroni, Roberto Magnani, Danilo Maniscalco, Simone Marzocchi
tecnico luci e suono: Fagio
tecnici di produzione: Fagio, Andrea Napolitano, Massimiliano Rassu
organizzazione e promozione: Silvia Pagliano; Francesca Venturi
produzione: Teatro delle Albe/Ravenna Teatro
Sono passati sei anni da quando decidemmo di realizzare una “lettura selvatica” tratta da Odiséa di Tonino Guerra, che mi vedeva per la prima volta solo sulla scena.
Quell’esercizio sulla lingua romagnola mi ha portato in giro per l’Italia aiutandomi a costruire un percorso di ricerca sul dialetto che si inseriva pienamente nella linea che il Teatro delle Albe, molti anni prima, aveva portato a livelli altissimi: Marco e Ermanna, per via di invenzione drammaturgica e vocale, ne avevano fatto una lingua di scena già dalla fine degli anni Ottanta, una lingua d’arte, capace di eruzioni vulcaniche come di accensioni liriche e visionarie. In questo cammino, segnato da spettacoli come Bonifica e Refrattari (e in quest’ultimo, nel riallestimento del 2002, avevo recitato anch’io), segnato dall’aver portato per la prima volta in scena un autore come Raffaello Baldini, importante è stato a un certo punto l’incontro con un poeta-amico come Nevio Spadoni, che firmando testi come Lus e L’isola di Alcina aveva esaltato le straordinarie capacità attoriali di Ermanna.
Quando Nevio mi ha proposto di “indossare” questo suo nuovo testo intitolato E' BAL, ho sentito che sarebbe stata la giusta occasione per riprendere il percorso iniziato con Odiséa nel 2009. Data l’impronta musicale di questo “divertissment o gioco linguistico”, ho subito pensato di mischiare il mio lavoro con quello di Simone Marzocchi, musicista e compositore che già da alcuni anni collabora con le Albe, e che oltre essere un raffinato e poliedrico trombettista, porta avanti da tempo, una ricerca sul suono e sul linguaggio informale in musica.
E’ BAL racconta la storia di Ezia, donna emarginata di un paese della campagna romagnola, vittima delle dicerie della gente, continuamente in cammino alla ricerca di un uomo da sposare. Questo suo andare in cerca, assomiglia a un ballo, un continuo sgambettare che smuove tutto il corpo della giovane donna. Ezia è vittima a suo dire, di un abbandono: il grande amore della sua vita l’ha lasciata sola e per questo motivo viaggia senza sosta per cercare di rimpiazzare il vecchio fidanzato ormai fra le braccia di un’altra donna. Ma il tempo passa, gli anni volano, e il ballo di Ezia si fa stanco e sgraziato, il decadimento fisico è accompagnato da una perdita progressiva della ragione, Ezia comincia a “sbacchettare”, ad avere le allucinazioni, ricorda solo una vecchia giostra, teatro a quanto pare, del primo incontro con quel cavaliere che l’ha lasciata sola a ballare questa danza folle, che assomiglia a un sogno, che è la vita.
Quando abbiamo iniziato a lavorare, ci siamo accorti che ancora prima delle immagini, l’anima del lavoro stava dentro al nostro orecchio. I suoni hanno preceduto e generato le visioni. Siamo partiti pensando alla voce di Ezia, come a un suono metallico pieno di ruggine, stridente, in contrasto con la musicalità del verso quinario del testo di Nevio. A partire da questa idea di suono-voce abbiamo pensato, inventato e costruito tre strumenti, tutti di metallo, che oltre alla tromba di Simone avrebbero musicato la storia e costituito gli elementi scenici.
Mentre il lavoro nasceva e prendeva corpo, pensavo al “dialetto di ferro”, a quella potente immagine-concetto creata da Ermanna diversi anni fa, in cui faceva coincidere lingua materna e invenzione di oggetti di scena: “Il ferro è metallo fecondo e infernale insieme, principio attivo che apre la terra, è strumento satanico della guerra e della morte, ma è anche pietra guaritrice, il ferro è semplicemente metallo volgare, dialetto.”
Roberto Magnani
Luglio 2015