L'opera
Scorrono davanti a noi le acque del fiume, di tanti fiumi: correnti che trasportano brandelli di storie e riflettono i sogni degli uomini che le hanno sognate e vissute. Anche le storie incompiute, trattiene il fiume, e può schizzartele in faccia, sognandoti per sempre, come nei racconti delle Panas sarde, costrette al fiume, in un lavoro silenzioso che riscatta l'ineffabile 'colpa' di morire di parto.
È il placido ed enorme Don, dei villaggi cosacchi che s'incendiano con la rivoluzione d'ottobre, il Don, casa e sentiero dei Cosacchi banditi dalla patria e dalla storia.
È l'irruento e minuscolo Senio, little big river, incendiato dalla linea gotica in un inverno che gela ogni speranza: l'inverno di quelli che sono rimasti nella terra di nessuno, tra un esercito e l'altro, e si sono rifugiati nelle grotte di tufo, buchi per vivere, buchi dove soffoca ogni seme di vita.
È il Mekong, che per trent'anni non ha visto altro che guerra: incendiata la foresta, i villaggi, gli uomini, le anime.
Storie che come tronchi la fiumana ha portato alle nostre spiagge, alle nostre valli. In questo tempo di fiumane e secche forzate.
Ivan Illic ci racconta l'esistenza di una caratteristica comune a tutta la mitologia indogermanica sull'acqua. Quel che i fiumi o i lidi lavano via da chi li attraversa, non viene distrutto. Tutte le acque mitiche alimentano una sorgente situata dall'altra parte. Il flusso trasporta le memorie che il Lete ha lavato via dai piedi dei morti, fino alla fonte che trasforma i morti in mere ombre. Questo si legge nel saggio del filosofo itinerante.
"Ha una bocca ma non parla, ha un letto ma non dorme". Così un indovinello romagnolo fissa le caratteristiche del fiume, dei nostri fiumi, dei fiumi della nostra immaginazione.
Il fiume lava e conserva le tracce. Come una madre. La via del fiume ha una propria direzione, un inizio e una fine, ma è sempre acqua, allora non è proprio un inizio e una fine.
È così un po' per tutte le cose del fiume. Sono lì, le vedi, le nomini, ma sono sempre un po' differenti da come le chiami.
Strano destino, quello dei fiumi: le sponde separano quello che l'acqua unisce - se si vuole si può anche dire all'inverso: le sponde uniscono quello che l'acqua separa. È vero anche così, sarà per questo che in guerra il fiume diventa subito 'fronte', ma anche rifugio, via di fuga.
crediti
di Renata Molinari e Luigi Dadina
in scena Luigi Dadina
ideazione scene e costumi Enrico Isola
lampi Marco Martinelli
ringraziamenti Pasquale Saraceno, Wu Ming e Vitaliano Ravagli, Laura e Riccardo
produzione Ravenna Teatro
Prima nazionale: Ravenna, Teatro Rasi, 22 novembre 2001
La via del fiume ha una sua direzione, un inizio e una fine, ma è sempre acqua, allora non è proprio un inizio e una fine. È così un po’ per tutte le cose del fiume. Sono lì, le vedi, le nomini ma sono sempre un po’ differenti da come le chiami.