l'opera
Da un incontro con amici avvenuto più di un anno fa sulla Reputazione, la Fama, il valore del nome, mi accorsi di quanto avevo o che fare con queste figure, e di quanto queste ingessassero la mia timidezza di attrice venuta dalla compagna, dove la Fama è rumore. «È bene non essere nella bocca degli altri.» A Marco, che da anni lavora sul teatro greco delle origini, ispirandosi per i suoi testi a Aristofane, venne in mente la storia di un'altra campagnola, lontana da me millenni, che abbandonò la sua isola per seguire in città lo sposo straniero: Fedra, principessa cretese. È così che sono arrivata a allacciando fili eterodossi, al suo Ippolito, sono arrivata alla Fedra di ossa di Marina Cvetaeva, ai suoi diminutivi, ai cori di ragazze e ragazzi.
Sono andata a Creta, l'estate scorsa, nelle grotte, nel buio dove si parla sottovoce e il corpo trema o per il freddo o per la paura. Questo tremolio è nei corpi di Ippolito. La prima figura a cui ho pensato è stata uno donna che danzasse alla Vita, come facevano a Creta, millenni fa, le donne che nei labirinti (non edifici chiusi, ma figure disegnate per terra e destinate alla danza) danzavano alla Zoè. I greci avevano due parole per dire vita: bios e Zoè. La prima è la vita del singolo, la vita dei mortali, la seconda è la Vita universale, quella che non muore mai, quella che è fatta di continue rinascite. Desideravo un corpo esuberante in scena e chiesi a Monica Francia, ben conoscendo la sua sensibilità di coreografa, di lavorare con me per legare insieme parole e corpo.
Mi sono poi allontanata, più dal clima che dalle parole di Euripide, cercando nei retablo di Frida Kalho. Come sono arrivata a pensarmi appesa, non lo so, mi sono vista e basta. Credo che abbia a che fare con una passività. Sgravarsi di tutti i pesi che sono quelli di essere donna, sposa, regina. Fedra è gonfia, annodata al suo tempo. Dalla tragedia di Euripide ho tagliato fuori Teseo (forse è la corda). E ho tenuto Fedra e il suo desiderio, che non è possedere Ippolito, ma essere come lui, niente (niente occhi, niente bocca, niente ano). Fedra appare già impiccata, forse è assopita, chiederà di essere slegata ma toccando terra, percorsi pochi metri, cercherà ancora la morte, forse quella definitiva. Il suo è un percorso da un suicidio a un suicidio. Scrollarsi di dosso la corona del proprio stato. Cambiare stato. Connaturata tendenza all'altrove.
Ermanna Montanari
Ravenna, aprile 1995
crediti
di Ermanna Montanari, da Euripide e Marina Cvetaeva
in scena Luigi De Angelis, Chiara Lagani, Fiorenza Menni, Ermanna Montanari
scene e costumi Cosetta Gardini, Ermanna Montanari
luci e suono Bruno Berno, Angelo Sintini
coreografia Monica Francia
collaborazione drammaturgica Marco Martinelli
regia Ermanna Montanari
produzione Teatro delle Albe, Ravenna Teatro, Comune di Ravenna.
Prima nazionale: Ravenna, Teatro Rasi, 7 aprile 1995
Vorrei sparire, sì, sparire in grotte profonde e che un dio là mi tramutasse in creatura alata tra schiere di uccelli.