l'opera
«Fino all’età di sei anni conoscevo solo il dialetto di Campiano.
Mi vergognavo quando a scuola dovevo pronunciare il mio nome con due n, in italiano. Mi vergognavo come mi vergogno a pronunciare l’inglese, un’altra lingua, straniera. Non è che il mio dialetto è più bello di altri: è il mio.
Ragiono tutt’ora in dialetto, pur parlando in italiano, il mio ragionamento è più chiaro, più organizzato e sobrio. Il romagnolo è duro e gutturale, così lontano dalle raffinatezze; esprime con forza le azioni, senza saperle dalle parole. Il dialetto è un vincolo che comprende i gesti e i significati, raggiunge la crudezza delle cose. Potrei definirlo vento, ruh, ciò che precede la tecnica ovvero la lingua della comunicazione, l’italiano.»
Così scrivevo nell’86 mentre stavo lavorando a Confine. Da allora ho sempre utilizzato il dialetto in scena soprattutto nei lavori scritti da Marco, da Bonifica a Incantati. Quando Nevio Spadoni, poeta romagnolo, mi ha fatto leggere Lus chiedendomi di rappresentarla, ho accettato subito. Lus è una lunga acre maledizione sputata dalla bocca di Bêlda, guaritrice stregona. Bêlda è davvero esistita, è vissuta a San Pancrazio a cavallo tra i due secoli: ce ne racconta Eraldo Baldini, e alle sue pagine Spadoni si è ispirato per comporre questo ritratto in versi. Ho visto Bêlda, furiosa e imperturbabile, simile alle figure di certe reggitrici che abitano le nostre campagne. Immobile, solo la voce vibra. Non c’è dramma, non c’è moto in Lus, tutto risiede nella carnalità della voce.
Mi è così naturale il dialetto che devo solo annullarmi per dirlo, ingabbiarmi nelle rime che Lus impone, come se fossi dettata, suonata. Ora con voce di scimmia, ora di corvo, ora di lupo. Un concerto, sì, ingorghi di parole, trascinata dalla bellezza della parlata romagnola, dal suo nero. Bêlda va nel senso della tenebra e con lei va un’altra figura, quella su cui è stato fatto il maleficio, o quella guarita, o quella che vive sotto il suo letto, o quella evocata o quella da cui succhia vita. Sospesa su un deambulatore-tronetto, il cui utilizzo mi è stato suggerito da Stefano Cortesi, Bêlda non tocca terra non può, e da questo infimo grumo soffia la sua profezia, lus lus lus.
Ermanna Montanari
crediti
di Nevio Spadoni
in scena Stefano Cortesi (poi sostituito da Luigi Dadina), Ermanna Montanari
collaborazione drammaturgica Marco Martinelli
consulenza musicale Vanni Montanari
scene e costumi Ermanna Montanari
luci e suono Angelo Sintini
regia Ermanna Montanari
produzione Teatro delle Albe, Ravenna Teatro, Comune di Ravenna.
Il testo Lus è contenuto nel volume. The Light, Ermanna Montanari performs Nevio Spadoni, a cura di Teresa Picarazzi e Wiley Feinstein, Bordighera Press, West Lafayette, 1999 e nel volume Teatro in dialetto romagnolo, di Nevio Spadoni, Edizioni del Girasole, Ravenna, 2003
Prima nazionale: Ravenna, Teatro Rasi, 27 dicembre 1995
Ch'a m'so ardota a crédar d'no ësi gnânca tota, ch'a m'so vesta piò d'na vôlta a cve e a lè int e' stes zir ad temp.